Blog di Antonio Vigilante

Perché antifascismo ed anticomunismo non sono la stessa cosa

Sto leggendo Oltre i cento passi (Piemme) di Giovanni Impastato, fratello di Peppino.  Se la figura di Peppino Impastato oggi è nota a tutti, o quasi, lo si deve al bel film di Marco Tullio Giordana: I cento passi, appunto. Ma, come spesso succede, il personaggio del film si è sovrapposto a quello reale fin quasi a farlo scomparire. Peppino Impastato è per tutti il ragazzo che gridava che “la mafia è una montagna di merda” davanti alla casa del mafioso Tano Badalamenti (una scena improbabile, scrive il fratello, perché “gli Impastato consideravano Badalamenti un parvenu”). Giovanni rivendica l’altro Peppino: non il “chierichetto della legalità”, ma il “comunista rivoluzionario”. Una figura certo meno comoda, meno vendibile dopo la fine dei comunismi.
Sul suo profilo Facebook il teologo Vito Mancuso, commentando l’approvazione alla Camera della legge contro la propaganda fascista, ha scritto oggi: “Giusto punire la propaganda fascista. Ma giusto sarebbe punire anche la propaganda comunista, a sua volta nemico mortale della libertà”.  E’ un giudizio diffuso, anche se spesso sulla bocca (o sulle tastiere) di persone meno raffinate di Mancuso (e che non varrebbe la pena di commentare, se non venisse ormai anche da persone come Mancuso). In astratto, il giudizio sembra condivisibile. Non si può negare che il comunismo abbia negato la libertà, ed un bel po’ di altri diritti elementari (compreso quello alla vita), nella maggior parte dei paesi in cui si è realizzato. Ma le questioni non vanno considerate in astratto, bensì nella concretezza della situazione storica.

L’Italia è un paese che ha avuto il fascismo, non il comunismo. Milioni di italiani hanno avuto, a causa del fascismo, tragedie e lutti nelle loro famiglie: lo zio ucciso per antifascismo, ma anche l’altro mandato a morire in Russia per permettere a un dittatore di sedersi al tavolo delle trattative. Milioni di Italiani hanno conosciuto la privazione della libertà, la guerra, le bombe, la miseria, per le ambizioni personali di Mussolini. I russi hanno subito anche di peggio, da Stalin. Ma noi siamo italiani, non russi. Siamo in un paese democratico la cui Costituzione è stata scritta anche dai comunisti. In un paese in cui il Partito Comunista è stato, insieme alla Democrazia Cristiana, il principale protagonista di decenni di democrazia imperfetta, ma non peggiore di quella della Seconda Repubblica. In un paese in cui un comunista come Peppino Impastato ha dato la sua vita per combattere la mafia. Prima di lui la mafia aveva ucciso il sindacalista socialista Placido Rizzotto; dopo di lui ucciderà il sindacalista comunista Pio La Torre. Ma l’elenco sarebbe lungo. Siamo in un paese in cui, in nome del socialismo, un bracciante pugliese è riuscito a riscattarsi dalla sua condizione di analfabetismo ed ha organizzato il proletariato agricolo perché lottasse per i propri diritti. Si chiamava Giuseppe Di Vittorio: ed oggi può accadere che, nella sua stessa Capitanata, un sindaco appena eletto faccia rimuovere la targa a lui dedicata all’ingresso del palazzo pubblico. E comunista era anche un altro foggiano, Dino Frisullo, che ha dedicato tutta la sua vita alla lotta per i diritti die migranti e dei curdi, pagando con la prigionia nelle carceri turche. Per i mass-media era un pacifista, ma lui rivendicava il suo comunismo. “Se morissi adesso o fra due giorni o un anno, ecco il mio testamento, il testamento di un comunista / Avido di conoscenza e d’amore, vissuto e morto povero e curioso”, scriveva.
Ora, per Vito Mancuso, questo comunista “avido e curioso” non sarebbe diverso da un fascista, e non diversi dai fascisti sarebbero Impastato, Di Vittorio, Rizzotto, Frisullo. E i tanti italiani che nel comunismo hanno trovato la via per riscattarsi dalla secolare sottomissione delle masse proletarie italiane (spesso ammazzati dalle forze dell’ordine, come il bracciante lucano Rocco Girasole – anche questo un nome tra i tanti). Non è solo una menzogna storica. E’ un grave errore politico, in un tempo in cui non esiste più in Parlamento una sinistra (il Partito Democratico è un partito di centro nel quale sono sempre più frequenti posizioni apertamente di destra) e forze politiche che rappresentano istanze più fasciste che di destra si preparano a guidare il paese.

Nell’immagine: Giuseppe Di Vittorio in comizio.

Articolo pubblicato su Gli Stati Generali del 13 settembre 2017.