Blog di Antonio Vigilante

Dell'attraversamento. Tolstoj, Schweitzer, Tagore

E' uscito il mio libro Dell'Attraversamento. Tolstoj, Schweitzer, Tagore, pubblicato da Petite Plaisance. Una pubblicazione cui tengo in modo particolare, sia perché segna, spero, l'inizio di una collaborazione con un editore che stimo molto, sia perché tocca temi che mi stanno molto a cuore.Di seguito la Presentazione:

Raccolgo in questo piccolo libro tre saggi comparsi in rivista su tre pensatori che ho incontrato alla ricerca di quell’atto esistenziale, etico e sovraetico, religioso ed irreligioso, metafisico e antimetafisico che chiamo attraversamento. Nella sua forma più radicale, l’attraversamento consiste nello sporgersi oltre l’ego, nel trascendere l’identità personale e tutto ciò che ad essa si attacca. È l’atto che pone fine all’etica, poiché il bene e il male sono pensabili solo nella logica della contrapposizione, che è propria dell’ego, e che viene trascesa con l’attraversamento; al tempo stesso, è l’atto etico per eccellenza, poiché con l’ego sono trascese le radici stesse del male. È un atto irreligioso, poiché al di là dell’ego non c’è istituzione, comandamento o promessa che valga, ma solo l’intangibile libertà dello spirito, ed al tempo stesso è il più religioso degli atti, quello che realizza l’essenza stessa della religione, il suo fine più alto e vero. Ed è un atto metafisico, poiché conduce nella pienezza dell’essere, ed al tempo stesso va oltre l’essere, poiché la distinzione tra pieno e vuoto, essere e non essere, vita e morte sta anch’essa nel cerchio chiuso dell’ego.

Tra gli attaccamenti dell’ego c’è l’ego collettivo: la nazionalità, la cultura, lo Stato. Anche l’ego collettivo è trasceso con l’attraversamento dell’ego, che è un atto transculturale ed anarchico. Quando ancora non si parlava di filosofia interculturale, i mistici avevano già trasceso culti e fedi circoscritte. «Ogni profeta e ogni santo ha una via, ma essa conduce a Dio: tutte le vie in realtà sono una sola», scrive Jalal alDin Rumi nel Mathnawi. E nel Diwan aggiunge: «Che far dunque o musulmani, ch’io me stesso non conosco? Non giudeo sono, né cristiano, né son ghebro [zoroastriano] o musulmano!». Questo spazio al di là dei confini culturali e religiosi è il punto più alto raggiunto dai monoteismi, ed al tempo stesso il più temuto, negato, perseguitato. È l’audacia che ha condotto sul rogo Margherita Porete e sulla croce al-Hallaj. 
Infine, l’attraversamento trascende la stessa specie umana. Dice il Dhammapada, 129: 

Sabbe tasanti dandassa 
sabbe bhayanti maccuno 
attanaj upamaj katva 
na haneyya na ghataye

Tutti temono il bastone, 
tutti hanno paura della morte. 
Considerando l’altro come sé 
non bisogna uccidere né permettere che altri uccidano. 

In quel sabbe, tutti, c’è una delle più grandi conquiste etiche dell’uma­nità. Tutti: umani, animali, piante. Il bene non può essere circoscritto alla specie umana, l’altro non è solo l’altro umano, ma anche l’altro animale, l’altro vivente in generale, che come me cerca la vita e si sforza di sfuggire alla morte. 

Tolstoj, Schweitzer e Tagore sono quasi dimenticati, come pensatori. Lo scrittore russo è venerato, appunto, come scrittore, mentre la sua principale opera filosofica, Il Regno di Dio è dentro di voi, è stata pubblicata in italiano alla fine dell’Ottocento, e da allora mai più ritradotta, e ristampata solo in edizioni di scarsissima circolazione. Quel pensiero che tanti dibattiti, speranze, slanci accese tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento è stato rimosso dal nostro panorama culturale come un monumento imbarazzante, se non pericoloso. Eppure basta aprire una qualsiasi pagina delle sue opere filosofiche per avvertirne ancora oggi la forza. Albert Schweitzer ha precorso, con la sua etica del rispetto per la vita, l’attuale etica ambientale e del non umano, che tuttavia, nel tentativo di fondarsi rigorosamente, preferisce raffinate analisi di meta-etica alle intuizioni del filosofo alsaziano. Tagore, amatissimo in Occidente come poeta e scrittore (come attesta il Nobel del 1913), non è mai stato preso sul serio come pensatore, condividendo la sorte di tutti i pensatori indiani; e presto è stato dimenticato anche come poeta.
Tre pensatori inattuali, dunque. E al tempo stesso tre pensatori necessari, in un’epoca di nazionalismi e fascismi rinascenti, chiusure fanatiche, idiozia religiosa, addomesticamento consumistico delle differenze culturali. 

In Umano, troppo umano, Nietzsche parlava del suo tempo come «l’epoca del confronto», in cui «possono venir paragonate e vissute tutte insieme le diverse concezioni del mondo, i diversi costumi e le diverse civiltà (Cultur)» ed annunciava l’avvento di una posterità «che si saprà al si sopra tanto delle culture originali dei popoli ormai concluse quanto della civiltà del confronto (Cultur der Vergleichung), ma che guarderà indietro ad entrambi i tipi di civiltà con gratitudine, come venerabili antichità». Sappiamo che le cose sono andate diversamente. Abbiamo avuto due guerre mondiali, l’orrore di Auschwitz, i genocidi in Africa, la guerra fredda. Ed abbiamo un presente fatto di terrorismi e di scontro di civiltà. La civiltà del confronto si presenta davanti a noi come un compito ancora in gran parte da assolvere. Questo piccolo libro intende suggerire che questo compito è impossibile se non discutiamo, a tutti i livelli, il principio di identità.